L’area in oggetto è situata all’interno della confluenza dei fiumi Ronco e Montone, che furono condotti in cavo rettilineo fino alla “voltazza” del canale Panfilio.
I grandi lavori della “diversione” furono avviati dal cardinale legato Giulio Alberoni nel 1734.
A valle della grande opera idraulica, chiamata Chiusa San Marco, fu scavato l’alveo rettilineo del nuovo Montone, fino ad incontrare il Ronco sulla cui sponda sinistra correva (come ora) la via Ravegnana.
Per indirizzare il fiume Ronco verso l’incile venne disegnata una “curva” realizzata artificialmente.
Le grandiose opere idrauliche comportarono ingenti escavazioni e l’innalzamento di sponde che comportarono un’elevazione del terreno in quest’area, come può vedersi dalla diversa altezza degli argini destro e sinistro di entrambi i corsi d’acqua.
La “Punta” fu da allora chiamata “Galletti” o più comunemente “Galletta”, dal cognome della famiglia ravennate dei Galletti Abbiosi i cui terreni erano nei pressi.
Per superare il fiume Montone, fu necessario, ultimati i lavori idraulici, costruire il ponte della “Ravegnana”, ma per i fondi residui non consentirono di creare un ponte in muratura. Venne così completato un manufatto in legno, con il piano in tavole, che al passaggio dei carri risuonavano rumorosamente: da allora è chiamato comunemente dai ravennati “Ponte Assi”.
Un “triangolo” di terreno disegnato dalla storia, quella con la lettera maiuscola, frutto di una vicissitudine travagliata che aveva ritardato l’allontanamento dei fiumi dalla città di Ravenna, grazie alla fermezza di un Cardinale. Giulio Alberoni, uomo di grande forza e determinazione, sorvegliava personalmente l’andamento dei lavori, percorrendo egli stesso il nuovo argine dei Fiumi Uniti, da Punta galletta alla via “Romana” dove sarebbe sorto il Ponte Nuovo, notevole ed efficiente monumento celebrativo di quei lavori.
Uno spazio regalato da faticose lotte per ordinare le acque, attorniato dalla tipica vegetazione di ripa e i tipici canneti, dove si alzano diverse querce: alcune farnie (quercus robur), un aristocratico cerro (quercus cerrus) ed un sempreverde leccio (quercus ilex). Passeggiando in questo giardino che è “chiuso” dagli argini storici dei fiumi che uniscono le loro acque appenniniche, non si avrà percezione dello scorrere del tempo: non si vedono gli edifici della città che dai tempi di Giulio Alberoni si è stesa fin quasi a toccare i Fiumi Uniti e non si sentono rumori provenire dal vicino ponte, che da oltre un secolo non ha più le assi…!
Pietro Barberini